Lettera d’Amore alla Mia Donna delle Pulizie (anche Soprannominata Donna Specchio)


Mia Cara Donna delle Pulizie,
Ti voglio bene. Non me ne sono accorta adesso che non vieni più, eh? L’ho sempre saputo. Anche tu lo hai sempre saputo. E ho sempre saputo che tu lo hai sempre saputo. Ci capivamo. Ma la privazione del confino su di noi ha fatto meraviglie. 

Ti ho pensato in questi mesi. Quando mi issavo sul ripiano della cucina per pulire la cappa – e prima di doverlo fare io, te ne parlavo come se fosse una cosa da niente. Quando mi dedicavo alla meditazione immobile dello stiro, meditazione bikram, in questi ultimi giorni, che puo’ raggiungere i 60 gradi. Fra i boffi di vapore degni della sauna di un Relais & Château, mi sono ricordata del nostro primo incontro, del primo incontro con tutte le altre Donne delle Pulizie che ci sono state prima di te. 

Vi venivo a prendere all’RER per spiegarvi la strada, per accogliervi bene. Vi raccontavo un po’ la mia vita per mettervi a vostro agio. Cercavo di fare la navigata, spiegandovi quello che mi aspettavo da voi, perché mi rispettaste. La verità era che ero orrendamente a disagio. La verità era che lo eravate anche voi. Semplicemente non poteva essere altrimenti. Un’adulta femmina normalmente costituita espleta autonomamente le basiche funzioni di igienizzazione e manutenzione del proprio ambiente naturale. Se non lo fa, se sporca dove un’altra pulisce, o è snob, o è ricca, o, più il mio caso, è terribilmente impedita. In tutte queste occorrenze, siamo davanti a una condizione patologica. La relazione parte con un handicap, dal lato del datore di lavoro. A meno che non sia un uomo, il datore, in qual caso la cosa diventa sexy. Ha la donna solo perché non ha trovato la donna che lo amerà talmente da lavargli le mutande e stirargli le camice a gratis. Chiudo la parentesi “lotta dei sessi”.

Ma anche voi, in verità, Donne delle Pulizie, siete qui per pulire dove un altro sporca, e lo fate perché non potete fare altro. O almeno dovete esservi convinte, a un certo punto, che non potevate fare altro, il che è molto presto diventato lo stesso. Quindi anche dal lato dell’impiegato, la relazione parte con un handicap. Ecco perché, mia cara Donna delle Pulizie, ho commesso, con te come con le altre prima di te, l’imperdonabile maldestro errore di fare l’amicona. Sentivo che occupavo il posto della stronza, della sfruttatrice, della padrona, e che tu occupavi quello della sottoposta che mi critica in segreto con le colleghe. Presto io ce l’avrei avuta con te perché facevi qualcosa che io non sapevo fare, e  tu con me perché potevo permettermi di farmi servire da te. Eravamo a un passo dalle Bonnes di Genet. 

Credevo scioccamente di poterlo evitare facendo la simpatica, stupendoti con notizie straordinarie: io ero come te! Cioè straniera, squattrinata, piuttosto marginale in un paese di stronzi. Il che è vero, non mentivo. Tutto il problema però, stava in quell’ero. Sono passati troppi anni da quando ero come te: adesso ho imparato la lingua, ho passato esami, spedito curricula, strappato curricula, procreato piccoli francesi - il culmine dell’integrazione per una straniera? - e sposato un uomo abbastanza facoltoso e abbastanza dolce da pensare ad assumere te per sollevare me dalle vili incombenze domestiche.

Come ho potuto lanciarti il messaggio “ero come te”, con l’intenzione di farmiti amica? Eppure lo avevo visto tante volte, negli occhi delle altre prima di te, quello sbarluccichìo di odio puro, quella sommossa popolare oftalmica, quello sguardo che gridava “ennò bellezza, non sei come me. Non penso proprio”. Avrei dovuto saperlo che rischiavo grosso. Ma tu no. Tu hai sobbalzato a tutti i dossi e a tutte le buche dei miei pestoni con le sospensioni da fuoristrada del tuo sorriso smagliante. Il tuo sorriso. Sfoderato quando non capivi un cazzo di quello che ti dicevo, spolverato e agghindato per dirmi Buon Natale mentre ti calcavi in testa la cuffietta. Fuoriuscito a tradimento quando ti facevo i complimenti per come mi avevi sgrassato la vasca. Non posso provarlo, perché ti lasciavo la casa e andavo fuori, per lasciarti lavorare comoda (un altro bell’eufemismo da padrona), non posso provarlo, dicevo, ma è probabile che tu riuscissi a spolverare, o a lucidare, per il solo effetto del tuo sorriso. Segnati, se un giorno metterò le telecamere in casa sarà esclusivamente per appurare questo. Ma non chiamerò SOS Extraterrestri. 

Già che il confino ci ha separate... Lo hai sentito anche tu che ci ha divise, vero? Nonostante ci intestardissimo a mandarci messaggi cortesi e premurosi anche più spesso di prima. Ci ha divise anche spiritualmente. Tu hai creduto a tutto, mia Donna delle Pulizie. Ti sei messa la maschera quando te lo hanno detto e hai tenuto tuo figlio aldiqua del cancelletto dei parchi giochi proibiti. Io no. Io ne ho approfittato per spiegare a mio figlio la disobbedienza civile. E ho scoperto che non ce n’era il minimo bisogno. Ho scoperto anche che il tuo lavoro è straordinario, ho imparato, ci ho preso gusto. Ho capito che voi Donne delle Pulizie non andate dallo psicologo non perché non ve lo potete permettere, ma perché non ne avete bisogno. 

Da quando te ne sei andata mi sento forte, mi sento adulta, mi sento una vera donna. La pulizia rende liberi, davvero. Il posto è mio, e me lo pulisco io. Adesso sono pronta. Adesso, se tornerai, potrò dire che faccio appello a te per guadagnare ore preziose per scrivere, e non per incapacità mia, e non sarà una vergognosa menzogna. Adesso so quanto è ragionevole chiederti di fare, nelle ore che hai a disposizione, adesso puoi tornare. Non avere paura del virus. L’ho anche avuto, sono più o meno immune. Sarà tutto come prima, i miei gatti sotto il letto e il tuo sorriso Cillit Bang. Anzi, sarà molto meglio, di prima. Ti pagherò di più. Magari un giorno ci facciamo anche una giornata di lavori di casa insieme, io e te, scambiandoci consigli, tecniche, segreti, astuzie, confidenze sui mariti. Però allora ti pago di meno.

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