TIMIDI TENTATIVI DI DISOBBEDIENZA CIVILE

Inauguro qui una nuova serie di testi, dove racconto della mia dissidenza quotidiana, di come la mia differenza, dove vado vado, rompe le palle a me, e agli altri. Io spero che rompere le palle al mondo post-Covid basti per diventare la nuova Gandhi.

Timido Tentativo n. 1. La Ceretta. Lo sgabuzzino della depilazione è uno scantinato. Ma con una mano d’intonaco argento, per fare comunque chic maghrebino. In questo sgabuzzino mi sono sempre sentita...una scopa. Anche prima delle misure di sicurezza anti-Covid. Già prima la mia cara estetista pretendeva che io le lasciassi strappare i miei peli di lupo. Già prima l’operazione mi disconnetteva tragicamente dallo Spirito Selvaggio, che invece avrei dovuto custodire come il bene più prezioso. E già prima, Jennifer perpetrava questo sacrilegio mensile alla dignità femminesca ridendo, scherzando, raccontandomi le sue peripezie personali, esigendo le mie, e tutto ciò pure dietro lauto compenso. No, il mondo non è mai girato giusto neanche prima. 

Ma ora, ora la mia amata estetista vorrebbe fare lo stesso, peró tutto facendomi portare, in più, la mascherina. Nello sgabuzzino. Con la vernice argento. Col caldo. Con lo sradicamento fin dell’ultima radice di lascivia selvaggia dal mio monte di Venere smascherato. Mi ricorda tanto la parodia della tortura dei manifestanti, una scena di Peanuts, di Fausto Paravidino. “Fai il canguro. Salta ti ho detto. Fai il chiurlo. Non sai cos’è? Bene, frustatelo”.

Scusa, Jennifer. É che ho fatto voto. Sì, tu mi depili squisitamente. Sì, ho cercato per anni una come te. E sì, posso affermare senza esagerare che hai salvato più volte il mio matrimonio. Ma ho fatto voto. Non conterò fino a sempre aspettando il momento di poter respirare ancora. Aspettando il permesso di disfarmi gli elastichini da dietro le orecchie – che, viste le mie orecchie, ci si impiglieranno, lo so, e le autorità rideranno, vedendomi boccheggiare ancora per qualche fottuto secondo. Ho fatto voto di timida disobbedienza civile.

Neanche in libreria, sono più entrata, perché volevano che entrassi ancora un po’ una ad una, e con maschera. “Fate entrare solo la vostra testa, lasciate il culo fuori”. E voi, librai, bè, tenetevi i vostri libri. Io non sfoglio imbavagliata. Non leggiucchio col cerotto sulla bocca. Mi è parsa una contraddizione in termini.

Allora mi ero preparata a indottrinarti, Jennifer. Mi illudevo di avere buone speranze. Dalle nostre lunghe chiacchiere sembrava fossi una personcina provvista di un certo coraggio, per un’estetista. Scusami, Jennifer, ti provoco un po’, ma è che un po’ ce l’ho con te. Insomma, sono entrata e ti ho annunciato che non avrei messo nessuna maschera. Ma non me l’ aspettavo la tua reazione. I tuoi occhi sgranati, le tue iridi azzurro panico, Cappuccetto Rosso che viene a sapere che deve depilare il lupo, e chiede candida Perché? Perché non metti la mascherina?

Allora mi ha invaso una grande stanchezza civile. Diciamo una vigliaccheria civile. E così, mia dolce abile Jennifer, ecco che ho fatto, invece di militare: ti ho mentito. Non so se la menzogna può rientrare negli atti di disobbedienza civile, quand’anche timida. Ti ho detto che non potevo. Che avevo l’asma. Che ero allergica al tessuto. Te la sei bevuta. Mai avuto asma. Nemmeno una bieca allergia al polline, mai. Dài, non te la prendere. Qualunque estetista al posto tuo se la sarebbe bevuta. È una grande dote vostra, il candore. Quasi una deformazione professionale.

Ti ho detto che il dottore stava cercando alacremente, nell’istante in cui parlavamo, un tessuto che mi andasse bene. Mi dispiace, Jennifer. E visto che siamo, alle confessioni, ecco, insomma, questa non è nemmeno la prima volta che ti ho mentito. Ora posso dirtelo: quella volta, agosto 2017... ho rasato. Adesso sai tutto. Perdonami.


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