NINNA NANNA NINNA OH, QUESTO BIMBO A CHI LO DÒ, LO DARÒ A OLIVIER VERAN, CHE LO TIENE UNA QUARANTENA

Wow. Devo riconoscere che ho perso il treno. E' vero che sono stata spesso un po’ in ritardo sul mondo. È la gran croce del sognatore. Cionontoglie che non mi capacito... Io che stavo ancora a lamentarmi delle maschere... Mentre in Germania, in Inghilterra, un bambino sospettato di avere il Covid può essere preso ai genitori e chiuso in un centro per tutta la durata della quarantena.

Non ci credevo. Mi sono documentata. La cosa va proprio così. Tuo figlio ha più di 3 anni e meno di 11? Sta male? Non vuoi o non riesci a chiuderlo in una stanza, a dotarlo di protezioni sufficienti, senza mangiare con lui e senza avvicinarlo? Se noi ce ne accorgiamo, noi Governo, lo veniamo a prendere e lo teniamo noi per due settimane. Senza il permesso dei genitori.

Fra i 3 e gli 11 anni. L’adolescente la legge lo snobba. Già troppo educato per comprometterlo, o alienarlo. Il bebè è troppo rischioso. Potrebbe avere un malessere oscuro, lasciarci le penne, e lo Stato rischierebbe troppo. I miei figli hanno proprio quest’età. Non sono né troppo piccoli, né troppo grandi. Non mi resta che sperare che siano così rompicoglioni con me, da non mancarmi se me li portano via. O così rompicoglioni col personale del centro, che il Governo decida di rimandarceli indietro, i miei figli. Ma non so se dovrei dire “miei”. Questi figuri bassi e volubili che la legge mi ha concesso di tenere un po’ con me dopo averli sgranati dalle mie pudenda come chicchi da una melagrana. Ecco, loro.

Vorrei ribadire che non me l’aspettavo. La sorpresa, il disgusto, la repentinità del disgusto, fanno passare la voglia di scherzare. Io che ironizzavo ancora sull’elastichino e sulla visiera.

A chi appartengono questi bambini? Fino a poco fa la gente per strada lo chiedeva a me: mi rimproverava la libertà stradale dei miei figli, insopportabile al probo cittadino: zero casco, zero ginocchiere, gomitiere volete farmi ridere? E i miei piccoli, liberi pazzi ribelli, proiettili ricciuti lanciati ad almeno venti metri davanti a me. Le loro ginocchiere sono le croste nerborute delle cadute precedenti. Il loro sorriso accaldato, pieno della saliva più prelibata, e degli occhioni più scapestrati, è il disinfettante migliore. Lo sfortunato avventore con cui venivamo a spartirci il marciapiede, credendoli soli, sentenziava spesso “Ma a chi appartengono questi bambini?”.

E poi arrivavo io, arrancando, lenta genitrice irresponsabile, mamma dromedaria che affronta senza scomporsi il deserto della paura materna, a dissipare il suo panico per fare spazio alla condanna, nel cuore dell’illustre sconosciuto, del censore di turno. Dava una sua soddisfazione rivendicare a testa alta la mia linea educativa, abbassarmi a considerare il ceffo degno di risposta. “Oh, intende questi fantastici capitani coraggiosi? Questi spregiudicati piloti Air Force One? Questi adorabili Tarzan? Questa piccola marmaglia di Tom Sawyer ? Non credo appartengano a nessuno, signore/a. Credo siano individui, mi pare, persone, sa, e in quanto tali, non sottomessi a proprietà. Se poi vuole sapere chi è la loro madre, allora sì, sono i miei figli. Le auguro buona giornata, signore/a”.

Non dovevo sottovalutarla, la luce tenebrosa nello sguardo del signore/a. Un temporale folle di risentimento frustrato. Tuoni e fulmini muti del giudicante che si crede giusto, giusto fino al midollo. “Quei figli non dovrebbero appartenerti” diceva la luce nello sguardo del passante. Poco importa il motivo, visto che non c’è più differenza fra i motivi. “Perché non metti il casco a tuo figlio”, “perché massacri tuo figlio”, “perché non metti la mascherina a tuo figlio”. Non c’è più nessuna differenza fra queste tre cose. “Quei figli non dovrebbero appartenerti. Vorrei toglierteli io, ma non posso” diceva il passante con gli occhi. Raffiche sotterranee d’impotenza, che un giorno si sarebbero trasformate in potenza. Quel giorno è arrivato.


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