QUELLO CHE HO FATTO FINORA PER NON IMPAZZIRE (O PER IMPAZZIRE PIU IN FRETTA)
Ma toh, ma che
insospettabile creatività è scaturita da questo confino nella nostra routine
quotidiana! Che momenti, anche, di decadente deriva igienico-morale. Ma consideriamo
i primi, e negligiamo i secondi!
Che ho fatto
dunque in questi per noi sedici giorni di confino, per ingannare l’accidia, il
panico, l’orrore e la paura di morire, o, se ancora in vita, di ritrovarmi senza
orpello alcuno davanti allo specchio spirituale, naso a naso con la vera me
-chiunque ella sia- ? Dunque.
Feci la scuola a
Olispero. Gli insegnai a leggere, a scrivere, a far di conto e a cucire.
Ultimai il
servizietto da tè fatto di Das e dipinto a olio per Boulette. Poi cercai di
impedirle di portarlo davvero alla bocca.
Constatato che servire il té le piaceva
molto più del previsto – e in special maniera servirlo a papà- per
compensare, la allenai a fare dichiarazioni #MeToo contro quel porco
sciovinista di suo padre. Filmai i risultati col cellulare.
Realizzai con
entrambi i pargoli oggetti ispirati a personaggi Disney non sottoposti a
confino, e feci mandare loro a memoria scenette in cui i suddetti personaggi
escono in volo da finestre su tappeti volanti o per effetto di polveri dorate.
Constatai che tutti i personaggi che ho scelto volavano.
Rincorsi per casa
urlando quegli orribili mocciosi confinati dei miei figli per farli smettere di
volare. Negoziai aspramente con la delegazione di mocciosi 45 minuti di siesta
pomeridiana.
Mi misi l’henné.
Pratica che richiede essa stessa di ritrovarsi davanti allo specchio, è vero.
Ma quando sei concentrato sulle goccette color kaki che sgocciolano dai capelli
e sull’impedire che sgocciolino sul lavandino, beh, guardarsi allo specchio è
molto più agevole. Mi sono detta è il momento ideale per l’henné. Se vengo
fuori troppo rossa non devo mica uscire di casa.
Dopo l’henné mi misi
il Katam, che dà una sfumatura più bruna. Ero venuta fuori davvero troppo rossa,
anche per stare in casa.
Inspiegabilmente
la delegazione di mocciosi dormiva ancora.
Dopo il Katam rifeci
tutto ma con la Robbia, perché il Katam me li aveva scuriti ma me li aveva
anche nettamente intristiti.
Il mio riflesso
allo specchio cominciava a mandarmi sguardi di deploro. Ne aveva abbastanza di
tutto quello sgocciolare marroncino.
Dovetti comunque
ripetere il procedimento con una nuova mano di henné. Nella prima mi ero
scordata che bisognava applicarlo su capello bagnato. Cosi aveva infiammato la
chioma, ma non aveva coperto i capelli bianchi. Se non riesci neanche a
coprirti i capelli bianchi, che operazione di confino è?
Scrissi a mia
suocera settantenne che le volevo bene. Pensai che questo amore era un chiaro
effetto collaterale della pandemia.
Controllai se mia
suocera aveva risposto.
Mi feci una
maschera di Rassoul marocchino, che mi grattugio’ l’epidermide ma non mi tolse
i brufoli. Non ritentai.
Riscrissi a mia
suocera. Le domandai perché non aveva risposto.
Feci 4 leccarde di
pizza, 2 pirofile di Tiramisu, due kili di sablé, una padellata di patate
fritte e un passato di crescione. I brufoli avrebbero finalmente saputo perché
si trovavano li’. Il crescione era per l’esame di coscienza.
Riscrissi a mia
suocera con lo spirito di chi compra il gratta e vinci.
Feci due panetti
di deodorante naturale e una bottiglia di detergente multiuso fatto in casa.
Guardai The Way
Back, The Bad Batch, Resistance. Cercai 1984, e non lo trovai. Fui certa che lo
avevano ritirato apposta su tutti i siti, proibito, e che questo faceva parte
del complotto per non farci ricordare come comincia un governo totalitario. Fui
sicura che mia suocera faceva in qualche modo parte di questo complotto, e che
era per questo che non rispondeva; ma era già molto tardi quando lo pensai, a
mia discolpa.
Sognai cataclismi
irracontabili. Mi svegliai. Ricominciai.
Mi feci un punto
d’onore di rispettare un confino stretto, una clausura totale, punteggiata solo
da aquiline virate fuori-porta per buttare la spazzatura, ma comunque sospettose e
paranoiche.
Dopo le prime due settimane accusai i primi segni di sbrocco da
reclusione. E capii anche che non potevo tirare alcun merito dal mio folle
eroismo eremitico. Se potevo permettermi di stare chiusa in casa, era perché la
spesa la faceva mio marito.
Era lui che usciva con una lista della spesa ormai
enciclopedica. Lui che si avventurava al Carrefour senza la maschera. Sempre lui
che toccava mele toccate da centinaia di polpastrelli covidici nelle ultime due
ore e venti di sopravvivenza del virus su mela.
Naturalmente lui che rischiava
la vita ogni quindici giorni ostinandosi a parlare del tempo con la cassiera.
Dovevo ammetterlo, era lui il vero eroe del quotidiano. Cominciai ad
applaudirlo con grida primitive ogni sera alle venti.
Campanellino in Confino |
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