E.T. TELEFONO TETTA o la fine dell’allattamento
Non se la passa
benissimo, Palletta, ultimamente. Lei, che pure è sempre stata
un’extraterrestre di gioia. È anche vero che un po’ tutti, i bambini,
non sono altro che extraterrestri in mezzo a noi.
Invece di
chiamarti mamma ti chiamano Flecciùm. Gridano per ore strani haka di guerra
quali “Bananos” o “Adesso ti sbottacchio”. Vengono a lamentarsi che un altro bambino
“li ha caduti”. A merenda esigono “cioccolato bianco fondente” gettandoti in impasse
quasi filosofiche. Hanno ossessioni ricorrenti sui soggetti dei loro disegni:
mio figlio per mesi ha disegnato solo percorsi di aerei (senza disegnare
l’ombra di un velivolo), per poi passare di colpo a mostri scrofolosi dai denti
acuminati e piccole orecchie a cecio, che prendono tutta la pagina e si reputa
proteggano i genitori spaventando gli scocciatori. Palletta ricopre i suoi
fogli di grumetti d’inchiostro collegati da linee, c’è chi sceglie di vederci
tristi percorsi di cani diarroici, ma anche chi sa scorgervi miriadi di
costellazioni misteriose.
Ogni tanto gli
chiedi anche scusa, agli ufo che stanno da te, perché ti sei arrabbiata, non
volevi. Loro fraintendono e pensano che vuoi le loro scuse, e pigolano “Scusa,
mamma, scusa” e duettate accorati così per dieci minuti. La proprietà transitiva
delle scuse. E passi anni, quattro pasti al giorno per 365 giorni fanno 1460
volte l’anno, metti tre anni, sono 4380 volte a pretendere che ti dicano “per
favore”, e “grazie”, e “prego” mentre gli porti da mangiare, e non c’è verso.
Poi un giorno gli regali una minuscola principessa Jasmine da ovetto Kinder, uno
sputo di plastica vestito di verde, e sono tuoi per sempre. E ti dicono 4380
volte grazie in un’ora. Per Jasmine. Se li porti in giro ai giardinetti si
guardano intorno ammirati e ti chiedono se quello è il Macchu Picchu. Gli dici
no, tesoro, siamo a due passi da casa, e la volta dopo, esattamente nello
stesso punto, vicino allo stagno, ti ripetono saputi: “Questo è Due-Passi-Da-Casa.
Non è il Macchu Picchu”.
Dal momento in
cui capiscono come mettere la bocca a ventosa per poppare, le tue tette sono
roba loro. Si servono da soli, in pubblico in privato, rovistano, ravanano,
soppesano, titillano, si incollano, si incazzano se hai messo la camicia a
collo coreano, e sono pronti a strangolarti pur di inserire il loro braccino
paffuto, e accedere alla tetta. A volte sei costretta a schiaffeggiargli la
manina come Papa Francesco con la devota invadente. Fanno poppare di tutto,
poggiandotelo al seno, dalle macchine di Cars ai Lego, ai fiori che raccolgono
per strada. Una volta Palletta mi ha messo sul capezzolo un camion dei
pompieri, e mi ha detto che dentro alla tetta c’era il fuoco. Lo sguardo da
ubriaco di latte del poppante a fine poppata è sempre ai primi posti nella
classifica delle mamme fiere di allattare. Lo chiamano milk-drunk. Tu
non lo sai, ma attraverso la poppata stanno raccogliendo dati da trasmettere al
loro pianeta.
Palletta adesso ha
due anni, ed è un’extraterrestre che deve smettere di poppare. La cosa non è
automatica per niente. Non è indolore. Insomma, è un cazzo di gatta da pelare.
Perché Palletta è come una piccola E.T. che non può più tornare a casa. GiÃ
che E.T. è tristissimo di suo, con tutto che la sua famiglia torna a prenderlo.
Invece Palletta, la navetta madre non la vuole più. O meglio, non vuole più che
ciucci, il che, per lei, è un po’ lo stesso. Ora che il confino è finito e si può
uscire, ci pensa un po’ di meno. La vita mondana la distrae. Ma lo svezzamento
è una vera e propria disintossicazione. In francese la parola è anche la
stessa, per il drogato e per il poppante: SEVRAGE. E lo senti che non è una
cosa dolce per niente.
Non c’è telefono
che lei possa costruire per riportarla indietro. Palletta è disposta a
implorare, a intenerire, a ossessionare, a contrattare, a minacciare, ma è
bloccata sulla terra da leggi troppo forti. Crescere, staccarsi, far la muta.
L’ultimo taglio di cordone è quello della lingua dalla punta del capezzolo, ed
è quello più struggente. Poi la tetta resta indietro come una vecchia pelle di
serpente, e vuota uguale. E la piccola aliena comincia a infilarsi chili di
patate fritte, di merguez, di soppressata. E a dimenticare il suo pianeta. Ogni
tanto assaggia anche la birra.
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