La Ricetta


Avessero anche solo un nome. Poterle identificare. Sto parlando delle torte di mia madre.

Confesso che ci sono ricascata. Le ho richiesto una ricetta. Durante il confino. Pazza. 

Eppure me lo sarò annotato, nel tempo, in tre diari segreti, mezza dozzina di portafogli, venticinque agende (più o meno una all’anno da quando ho cominciato a cucinare), un centinaio di post-it e almeno un tesserino di dichiarazione di volontà sulla donazione di organi. 

Prendetevi tutto, medici legali, addetti all’autopsia, è open bar, organi, tessuti, cornee, tutto quanto, ma mi raccomando, se mai vi capitasse di entrare in contatto con mia madre, NON CHIEDETELE MAI UNA RICETTA. 

Certo, sarà intenta piuttosto a strapparsi i capelli, a piangere la morte di sua figlia, a cercare di intralciare il vostro lavoro di asportazione – e quando mai sarà d’accordo con una mia decisione personale?-, insomma la probabilità che vi proponga di darvi una sua ricetta in un simile contesto lo ammetto è scarsa. Ma nella vita non si sa mai.

MAI chiedere una ricetta a mia madre. Era anche nella Top Five delle cose da MAI chiedere a mia madre, subito dopo “Come stai?”, e “Cos’hai fatto oggi?” e “Come sta papà?”. Non ricordo la quinta cosa. Probabilmente MAI contattare mia madre, in generale.

Che poi è una cuoca inenarrabile. A tratti geniale. Opulenta. Eclettica ma senza fronzoli. Audace ma accorta. Energica. Sinergica. Generosa. Astuta. Ha iniziato bambina in una campagna tipo Corleone a friggere fiori di zucca in pastella, e non si è più fermata. Era poco più grande di Palletta, che già maneggiava con destrezza i proverbiali padelloni bruzii. Un solo problema la rovina. La ricetta.

Non riesce. Non la tollera. Non la fa respirare. Imporle di seguire una ricetta è mettere una redine a un cavallo sanfratellano. È costringere Marina Abramovič a dipingere un vaso di peonie. Mandare Mike Horn alla pensione Miramare. Mettere il gesso al bacino di Elvis.

Lo posso capire. Ma ci sono giorni in cui una figlia ha bisogno di una ricetta, mamma. 

Non di un oracolo. O dell’enigma della sfinge. Avete presente il passante che fermiamo per chiedere la strada, e che palesemente NON LA SA, ma ci rifila lo stesso un vago vaneggiamento di rotatorie e benzinai? Avete presente il “Ma dove cazzo mi sta mandando?” che si precisa nella vostra mente, se vi siete fidati di lui? Ecco com’è, quando chiedi una ricetta a mia madre.

“Allora”. Comincia sempre così. “Fai una pastafrolla normale”... “Metti POCO lievito”. “Ricopri UNA teglia”. “Fai cuocere”.
Lascia che ti spieghi, mamma: questo non è accattivante estro. Non è adorabile sbadatezza. Genio indomito. Non sei Michelangelo dietro la Scavolini. Questa è UBRIS bella e buona! Tu vuoi fare l’impenetrabile. Renderti insostituibile. Circondarti di un alone di mistero. Sei la sibilla della pastiera. La templare del ciambellone. Non ti interessa trasmettere, tramandare, no. Tu vuoi le luci della ribalta, tutte per te. Dopo di te, il nulla. O GialloZafferano.

Questo è il lascito, per noi che ti succediamo, di cotanto impero mafioso dei fornelli. Da Corleone a New York, il libro residuo delle tue ricette è un brandello più frammentario di un papiro di Ossirinco.

“Purtroppo sai che io vado ad occhio”.

Vero. Ora ricordo. E so anche che purtroppo, la torta ti poteva venire prelibata, ma ti poteva anche venire sbilenca, bella ma secca, cremosa ma collosa. Invitante ma deludente. Ci guardavamo in silenzio, io e i miei fratelli a merenda, come gli habitué al tavolo di blackjack di Atlantic City. E non sono pronta, davvero, a sostenere questa roulette russa. Ho due bambini piccoli, mamma. Ho il Covid. Ho il divieto di uscire di casa. Il divieto di non avere paura. Mi merito una dose, un diametro, un tempo di cottura. Una temperatura. Un embrione di procedimento. Ne ho bisogno. E sai perché?

Perché il mondo, là fuori, è proprio come te. Non specifica, non insegna. Non ci puoi fare affidamento. Devi impastare come nella tua cucina, alla carlona. E poi restare lì nel dubbio, con la luce del forno in fronte, la tua espressione beota in filigrana sulla porta del forno, a guardare una torta che non sai che destino avrà. Quaranta minuti di angoscia ai classici 180°. Poi il salto nel buio. In un mondo cosí, mamma, si dovrebbe poter contare almeno su una torta.

Ricettario di famiglia.

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