PandeAmiche 2 - Balconi


Quando mi hai annunciato che eri incinta ho subito indetto un tè di gravidanza per te. Datteri e infuso di foglie di lampone. Per infiacchire il tuo pavimento pelvico. 

Ho lucidato per te la bibliografia della Triade (gravidanza-parto-allattamento). Libri, giornali e quaderni disposti a ventaglio sulla tovaglia di zia Sofia. Vicino a un bel piatto di cupcakes. Che in gravidanza si ingrassa, punto. Perché chiamarla “grossesse”, sennò? Zia Sofia avrebbe optato più per le ciambelle, ma sullo strafogamento globale avrebbe sottoscritto. Dopotutto avevo avuto una nascita orgasmica appena un anno prima. Mi sentivo investita della santa missione di guidare anche te verso il piacere lubrìco della messa al mondo. Ma tu non sei - venuta. 

Poi è nata Lyse. Il tuo perineo si è arrangiato senza le mie foglie di lampone. Avete fatto appena in tempo a uscire dalla camera d’ospedale, che vi hanno subito riconfinate. E lì, una notte, fra una poppata e un meme, hai ripensato a me. E mi hai mandato due dozzine di fotografie di vita quotidiana del tuo confino. Mi ha fatto piacere. Le ho guardate con molta attenzione. È stato allora che ti ho scritto.

“Sài, Sabine, che in una tua foto si vede casa nostra?”
“Ma và?”
“Sì. Sai quella dove siete sul balcone. Se zoommi dietro, in basso a sinistra, vedi la nostra finestra!”
“Ma và!”.
“Eh sì. Il che è una cosa carina, perché se ci mettiamo d’accordo su un’ora e ci affacciamo ognuna alla sua finestra, possiamo farci cucú da lontano”. I francesi adorano farsi cucú da lontano.
“Ma và!!”.
“Eh. Fammi sapere, Sabine, quando esci sul balcone, che mi faccio alla finestra!”
“Mmm. Alle 20 siamo sul balcone. Per applaudire”.

Sabine. Ci ho messo due giorni per risponderti. Alla fine ti ho scritto: “Ma certo! Così prendiamo due piccioni con una fava. Ci salutiamo, e applaudiamo. Perché fare due giri? Già che facciamo la strada dal divano al balcone...”.

Ma ti volevo dire molto di più, Sabine. Ti volevo chiedere se lo sai che SI PUÓ ANCORA uscire sul balcone senza l’autodichiarazione. Ti volevo dire che non succede niente se smetti di tirartela. Se non smonti la gente che ti comunica affetto, che fa attenzione a te. Non succede niente se per una volta non fai sentire gli altri alle tue dipendenze. Uscire al balcone, Sabine. Calcolando che starai in un 50m2, tutt’al più, e che essendo terribilmente mainstream avrai collocato il divano al centro del soggiorno, stiamo parlando di due, tre metri di scomodamento. 

Questo ti volevo dire: che pensavo fossimo abbastanza amiche da farti uscire al balcone SOLO per me. E non “già che ci sei”. Già che sei lì, ad applaudire, poi.
Io non applaudo, Sabine. Segnatelo. Non ottempero a questo barbaro rituale di stampo apotropaico. Non mi interessa prender parte a questo sfogo collettivo di narcisismo eroicista sfoggiante solenne omaggio agli angeli ospedalieri. E alle 20:04 rientriamo tutti e ci sentiamo bravi bravi perché abbiamo plaudito al sacrificio come alla Turandò all’Operà Garnier.

Applaudire è una cosa da gregge. Se ti metti a battere le mani da solo, sembri o un po’ pazzo o un po’ sarcastico/furioso, no? Ecco, anche tu dovresti diffidare di qualunque cosa che va bene fatta in massa, ma è ridicola fatta da soli. E insegnarlo a tua figlia.

Volevo dirti che mi interessavi tu. Essere amiche. Darti appuntamento neanche sul balcone, se devo dirla proprio tutta, ma proprio sul tetto, a costo di sgommare sulle tegole. Sul tetto a mezzanotte, come gatti, che tanto tu allatti, un pacchetto di Amica Chips - vedi? È il destino, ti avrei detto e avrei riso delle mie risate sgangherate da svampita, Amica Chips e una candela accesa, come una lucciola rapita, anche una torcia se proprio insisti, ma altro che applaudire, mangiarsi le patatine! Sgranocchiare per vedere se sentiamo l’eco dello scrocchio nel silenzio del confino, e correre sui tetti come lupe e ridere insieme fin su alla luna che ci guarda dall’inizio e sai come se la sta ridendo lei ma tu che ne sai di Clarissa Pinkola Estès, della Donna Selvaggia, dei parti orgasmici, delle ciambelle di zia Sofia?

E ti è andata anche bene se ci pensi, Sabine. Perché io da dirti avevo “solo” questo, e non te l’ho neanche detto – stanchezza, paura, tatto. Ma Zia Sofia al mio posto, lo sai dove ti avrebbe mandata, Sabine? Eh no, non è un posto dove si rispettano i gesti barriera. 

 

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