L'Oro Bianco


Mi manca l’umorismo.
Non voglio dire che non ho senso dell’umorismo. Ne ho sempre avuto uno (anche se di tipo orrido). Voglio dire che ne sento la mancanza. In me, fuori di me, in Dio - sempre se c’è. 

E anche ‘sto virus, poteva esse’ un po’ più simpatico. Uno da una botta e via, che va subito al dunque, che resta poco, e goodbye stranger, it’s been nice, hope you’ll find your paradise. Mi manca Supertramp. Mi mancano i Beatles, quando attraversavano le strisce a meno di un metro l’uno dall’altro. E Paul pure scalzo.
 I’m sooo tired, I can’t stop my brain, it’s no joke, I’m going insane.
Oddio, 
mancare...io i Beatles non li ho mai visti veri. Pero’ fino a quando non è dilagata la pandemia, da qualche parte nel profondo sapevo che sarebbero potuti ritornare. Capite cosa intendo?
Intendo che la mia vita era ancora un cazzo di bocciolo con tutti i possibili aperti. Immaginabili. Sbocciabili.

Oggi caso strano non ho più niente da pulire. Mi aggiro per casa spingendo pigramente le solite riflessioni bislacche come uno stercoraro la sua ignobile palletta. Porto lunghi orecchini composti da una serie di perle di legno impilate. Mi ricordano quei globi lucenti che coronano i minareti e le cupole delle moschee.

Mi fermo e mi siedo. Le riflessioni continuano un attimo da sole per inerzia, come le palle di rovi nei western. La forma della sfera ha sempre avuto una sua sacralità. C’è quel film con Dustin Hoffman e Samuel Jackson. Il tao, i pianeti, il ciclo della natura, testicoli e ovaie, la fede nuziale, il raccordo anulare, la gran bolla del sacco amniotico. Sfere.

Sarà per questo che sia uomini che donne hanno sempre manifestato un’affascinata riverenza verso le tette.
Voi adesso non ci crederete, o non sarete d’accordo, ma io vi assicuro che anche in mezzo al più aspro dei confini, la vita continua. Il tempo passa. Le tette cadono.
Anche le mie. Non ci crederei neanch’io, se non lo vedessi.

Sembra ieri, che scuotendo il capo stoltamente ripetevo “tanto non c’è niente da sostenere, cosa vuoi che cada”, e uscivo scellerata senza il minimo sostegno.

Proprio come i Beatles, ho avuto anch’io il mio white album. Il mio apogeo latteo, la mia casetta Milka di Hansel e Gretel. Per i lunghi anni in cui ho allattato, ho constato di numero due unità mammarie non soltanto rispettabili, ma oserei dire simpatiche (e di questo sia resa imperitura lode a Sant’Agata protettrice dell’allattamento e delle tette in generale che m’ha fatto la grazia). All you need is Milk. E il mio latte ha resistito a tutto, al tiralatte, ai traslochi, ai primi dentini, alle occhiate morbose di mia madre che non ha potuto allattare e mi chiedeva se avevo mai assaggiato il mio latte, e che sapore aveva, al crollo del Dow-Jones e all’elezione di François Hollande.
Mi sentivo Jessica Rabbit, ancheggiando per casa col mio doppio furgoncino Granarolo. E con loro ho fatto di tutto: ho guarito, nutrito, consolato, sollazzato. Sono anche sospettata di omicidio, ma il mio avvocato mi ha vietato di parlarne in questa sede.

Prima dei figli no, non ce la facevano, erano minime, c’era chi le chiamava le Piccole Figlie, anche alludendo alla loro insignificanza erotica. Sono quasi certa che in una delle numerose classi in cui sono stata vittima di bullismo, durante le lezioni di geometria mi si guardasse il petto e si sghignazzasse con insistenza alla parola “cos’è-no”.  Io stessa in cuor mio (cioè 3 mm sotto il capezzolo sinistro), concludevo che se mi fossi trovata un giorno in presenza di individuo che considerasse intrigante quel davanzalino moscerino, dovevasi per forza trattare di psicopatico grave, davanti al quale non restava che la fuga.

Ma adesso ho chiuso per sempre la mia piccola cremeria di paese. E loro si sono svuotate come scamorzette nella macchina del sottovuoto. E’ la metafora meno umiliante E più esatta che mi è venuta. Insomma, Il mio impero fondato sul latte è andato in fumo. Mi trovo a una svolta epocale nella mia palpitante vita pettorale...ehm...personale. Ma sulla scala del resto del mondo, lo so, niente di sconvolgente. E’ solo che, prima dell’epidemia, sotto sotto (insomma, sempre in cuor mio), speravo che un giorno, sopra il cuor mio, sarebbero sbocciate cupole geodetiche, osservatòri peruviani, paralleli equatoriali, volte celesti gemelle. Inconsciamente aspettavo la scomparsa di Sophia Loren per vedere se le sue tette avrebbero potuto reincarnarsi nelle mie.

Ma la cosa non sembra in programma, e io sono qui, sola, piatta e microscopica in una galassia che si chiama Via Lattea, senza latte, senza Beatles, senza umorismo, a guardare queste due mie quagliette esanimi che penzolano al laccio infame del destino, e guardano una a destra una a sinistra – rispettano la distanza di sicurezza?, mentre sotto di loro i miei due polmoni colpiti continuano comunque a bofonchiare vittoria.

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