Madri boschive (Miyagi? Ma quanto Miyagi?)
È curioso restare “sempre” madre. Prima lo diventi,
ok? Carnalmente proprio. Dopo, in un tempo spesso distinto dal primo, lo
realizzi, te ne accorgi. E dopo ancora, un bel giorno, ci hai fatto il callo. A
questo punto è fatta. Ormai è una ginnastica quotidiana, una forma che ha preso
il tuo corpo, una specie di riprogrammazione. Un lavaggio del cervello? Sicuramente
anche quello. E indietro non si torna.
Il figlio è un ferro
da stiro, la madre una camicia, la piega rimane come l’ha voluta il ferro, almeno
fino al prossimo lavaggio. Solo che la madre non è una camicia qualunque, che
lavi dopo un giorno perché l’hai portata in ufficio e hai preso l’autobus. Come
la camicia del primo fidanzato, non la laverai mai più, e la piega resterà,
dopo stirata sarai mamma di tutti, sempre.
Sarai madre anche
di te stessa, anche della tua stessa madre. Si dice, no?, che una mamma
è per sempre...No, scusate, quello è il diamante...Quel che si dice è che di
mamma ce n’è una sola. Beh, è una cosa falsissima. Ogni luna che tramonta all’alba
dà alla luce un te bebè per un giorno. Spesso anche diversi bebè al giorno.
Possono partorirsi dal tuo cuore come popcorn da una padella.
Le volte che mi
sono fatta da mamma. Mi sono data alla luce da sola perché la luce a cui mi
avevano dato non mi rendeva giustizia. Non sono stata data alla luce in modo
fotogenico.
Dovevo mettermi in
posa, immobile, in apnea, già ferma di mio prima dello scatto. Già tramortita
prima di essere immortalata del tutto. Per non venire sfocata penso. Meglio
netta e manichina che sfocata e libera.
Certe madri
maniache del controllo non lo sopportano un figlio sfocato. Non ce la fanno a trovare
bellezza nel movimento che rende nuvola, nella foto di classe dove il figlio è
venuto con gli occhi chiusi, nell’immaginetta che improvvisamente si mette a
fare le boccacce. Piuttosto strappano la foto.
Sono le madri bonsai. Passano l’infanzia
del loro figlio a mettere la cera togliere la cera sulla loro creatura. Espongono
alla finestra l’arbusto, volutamente mantenuto in coma rachitico, prendono le
misure perché il vaso sia collocato esattamente nel centro.
La loro linea educativa
consiste pravalentemente nel tagliuzzare con forbicette dallo schiocco
scudisciante qualunque foglia manifesti, negli anni, la più vaga velleità
rivoluzionaria. E’ inutile, rami. Toglietevelo dalle gemme. Da questa finestra
non si esce. Siete qui per bellezza. Per far vedere quanto è stata brava mamma.
Io ho fatto così: ho stretto
forte tutte le mie radici nella terra, fino al più pallido peduncolo, il giorno
che bisognava cambiare l’aria e la finestra era aperta, e ho spinto e spinto
finché non ho cominciato a saltellare come la lampada della Pixar.
Verso il davanzale, e oltre. Fu un volo bellissimo. Quello schianto di ceramica
smaltata! Me lo schianto ancora nella testa quando mi sento un po’ giù. Dalla
spazzatura alla foresta, è stato – quasi- un viaggio da ragazzi.
Ho studiato molto
per diventare madre foresta. Quelle che il figlio si spacca la testa in bici e
inneggiano “Braavo!” e tifano come le mamme americane alla finale di baseball. Quelle
che al terzo compleanno sono pronte a buttar giù dal nido, e insegnano a
contare soldi, a leggere ore, a pagare affitti e a mangiare ostriche. Per
prepararsi alla potatura, al volo del polline lontano dalla quercia.
Mi fa molto
strano pensare di fare da mamma alla MIA mamma. Io che alla fine non sono stata
né madre bonsai, né veramente madre foresta – dalle forbicette non ti liberi
mai completamente: l’astuccio dove le riponi è pur sempre il tuo cuore.
E a metà strada fra bonsai e foresta, c’è una mamma boschetto, una mamma campo. Che ogni giorno vede nuove erbacce strane e ogni giorno le guarda bene, prende le foglie fra due dita e le rigira, gli sente la febbre per deformazione, e dice: “Cosa sei? Sei erbetta o sei erbaccia? Ho sbagliato? E Dove ho sbagliato?”.
E a metà strada fra bonsai e foresta, c’è una mamma boschetto, una mamma campo. Che ogni giorno vede nuove erbacce strane e ogni giorno le guarda bene, prende le foglie fra due dita e le rigira, gli sente la febbre per deformazione, e dice: “Cosa sei? Sei erbetta o sei erbaccia? Ho sbagliato? E Dove ho sbagliato?”.
Vieni a sapere che
tua madre se ne va. A vent’anni sarebbe stata una figata. A quaranta
è spiazzante. Allora hai un riflesso incondizionato da madre, ti salta il
ginocchio sotto il martelletto. Reagisci facendo subito quello che fai più
spesso. Ti chiedi: “Ma ho sbagliato? E dove ho sbagliato?”.
Commenti
Posta un commento
Grazie per il tuo commento!